Carissimi fratelli e carissime sorelle in Cristo, permettetemi in questa prima predica ufficiale come vostro nuovo parroco di dirvi che ho fatto di tutto per essere qui quest’oggi, prima domenica di settembre. Il perché è dovuto al fatto che, instaurando un paragone calcistico, l’allenatore dev’essere sulla panchina della sua squadra per la prima giornata di campionato e dunque eccomi qui! Ma battute a parte, la Provvidenza oggi ci permette piuttosto di incrociare nelle letture la figura del Battista, figura fondamentale della Scrittura, prototipo di ogni prete e della Chiesa intera. Perché Giovanni il battezzatore è modello della Chiesa e del prete? Lo si intuisce in quella sua frase che dice tutto il senso di una vita: Lui, cioè Cristo deve crescere, io diminuire. La vita del Battista è fin dal concepimento una vita relativa a Gesù, niente è autonomo in Lui. Così è anche per il prete e per la Chiesa. Lui deve crescere, noi diminuire. Non c’è nulla in noi che possa prescindere dal rapporto con Lui. In un meraviglioso articolo scritto nel 1970 dal titolo “Perché sono ancora nella Chiesa”, testo che tutti dovrebbero leggere almeno una volta nella vita, l’allora teologo J. Ratzinger scriveva tra l’altro: “… In effetti questi sforzi hanno condotto a una sopravvalutazione dell’elemento istituzionale nella Chiesa, che è quasi senza precedenti nella Chiesa. Le istituzioni e i ministeri nella Chiesa di certo vengono criticati oggi in modo più radicale di un tempo, ma essi assorbono anche l’attenzione in modo più esclusivo che mai: non pochi credono oggi che la Chiesa consista solo di essi. La problematica della Chiesa si esaurisce allora nella battaglia sulle sue istituzioni; non si vuole lasciare inutilizzato un apparato così vasto, ma lo si trova per molti aspetti inadatto ai nuovi scopi che gli vengono assegnati. Dietro di ciò si profila un secondo punto, il problema effettivo: la crisi della fede, che è il vero nocciolo della questione. Cosa ci dice l’allora teologo Ratzinger: che la Chiesa parlava, e noi aggiungiamo parla, troppo di sé stessa: dei suoi ambienti, delle sue correnti, dei gruppi che la compongono; e venendo a noi: del campo da calcio, del salone, di chi ha le chiavi, del prete bello o lungo nel predicare, dei lavori che bisogna fare, di chi farà il decano o il segretario del consiglio pastorale. Vista da fuori, sembra che la Chiesa oggi sia un mondo, diciamo anche un mondo abbastanza chiuso per i più, ultimamente neanche troppo limpido alle apparenze. Ma cari fratelli e care sorelle, la Chiesa non può essere un mondo ma essa è nel mondo, la chiesa non è una cittadella autoreferenziale ma è piuttosto la città posta sopra il monte perché tutto in lei, dai gelati dell’oratorio alle facoltà di teologia, sono perché la gloria di Cristo splenda nel mondo, perché Cristo illumini e scaldi con la sua beatificante Presenza l’arduo e spesso disperato cammino dell’uomo, affinché egli possa sentire la splendente soavità di Cristo nella sua vita. Per questo c’è la Chiesa: non per sé ma per l’evangelizzazione; non per sé ma perché la ricerca tormentata dell’uomo possa giungere nella soave pace del Verbo Incarnato di cui i credenti sono le membra del Suo corpo mistico. Ed il prete che parla a voi quest’oggi, tornato nella sua città dopo quindici anni si servizio nella provincia di Varese non vuol essere e non vuole fare nulla se non questo: cercare, pur non avendo né grandi virtù, né grandi carismi, di appassionare gli uomini e le donne di questo quartiere alla ricerca ed alla sequela di Cristo, l’Unico Nome che dona pace al cuore. E questo prete lo vuole però fare insieme a voi. E questa comunione, questo essere insieme per appassionare gli uomini a Cristo Redentore dell’uomo è la Chiesa.
don Stefano