Omelia per il rito d’immissione nel ministero di parroco a SS. Nome di Maria

(7 dicembre 2018)

Carissimi amici buona sera e scusatemi subito di una cosa: questa sera sarò molto più lungo del solito. Quando si doveva decidere il mio ingresso con la Diocesi e si paventava l’idea di celebrare una sola volta il rito per tutta la Comunità pastorale io ho mostrato la mia contrarietà. Memore dell’alto magistero varesino dell’attuale Vicario generale Mons. Franco Agnesi che ha sempre sostenuto che la CP valorizza e non distrugge le comunità parrocchiali, ho voluto che il rito dell’immissione si tenesse anche qui in SS. Nome di Maria per riaffermare ciò. Per cui eccomi qui carissima comunità dell’Ortica! Un saluto particolare alla diaconia che mi ha accolto con amicizia composta da don Fabio, dal diacono Alessandro , un saluto particolare a don Alessandro che di SS. Nome è di fatto il referente ecclesiale. Un saluto a tutti i collaboratori dei quali non cito i nomi per non dimenticare nessuno. Poi un ricordo grato ed un saluto ai miei predecessori: don Luigi Badi che mi ha consegnato questa comunità immersa nel fervore, don Fabio Giovenzana, amico da tanto tempo e che non è potuto venire per improvvisi impegni pastorali. Ma questa sera un ricordo tutto particolare non può non andare al parroco fondatore di questa parrocchia e del quale siamo un po’ tutti figli e debitori spirituali: don Tarcisio Varisco che ha edificato una comunità, prima al santuario poi qui; che ha edificato anche letteralmente le strutture annesse a questa chiesa che sono assolutamente all’avanguardia per una comunità così piccola da un punto di vista numerico degli abitanti. Don Tarcisio: un prete comune, ordinariamente straordinario, di quei preti che lavorano in mezzo alla gente, che si danno senza risparmio. Di una semplicità disarmata e disarmante, radicato nella tradizione e nel popolarismo crescenzaghese, sobrio, che sapeva mettere l’assoluto al primo posto ed il relativo come conseguenza. Per tale motivo sono emozionato nell’accogliere qui i suoi parenti e per inaugurare il suo busto che resterà a perpetua memoria delle future generazioni degli abitanti credenti e non dell’Ortica. Un saluto specialissimo al Vicario del Vescovo Mons. Carlo Azzimonti che porta il peso del rappresentare Mons. Delpini in questa città complessa che è Milano. Un saluto anche al Decano don Dario Balocco che mi ha affettuosamente accolto nel presbiterio decanale. Un saluto a tutti i preti e diaconi presenti, a tutte le delegazioni delle parrocchie in cui ho esercitato il ministero. Questa sera non posso non ricordare un sacerdote legato a questa comunità perché l’accompagnò con il suo ministero di Decano in passaggi importanti: l’allora parroco di san Leone Magno il casoratese don Giuseppe Parolo che ho avuto l’onore di avere tra i miei parrocchiani per diversi anni prima che la malattia gli divorasse la coscienza. E Cristo che gli ha chiesto questo misterioso modo di offrire il suo sacerdozio lo ricompensi un giorno come amministratore fedele e dedito dell’Evangelo. Un saluto alla mia mamma. Ed un grazie sincero naturalmente a tutti gli abitanti dell’Ortica qui convenuti ed anche i parrocchiani di San Martino di Lambrate, in modo particolare al comitato ed a tutti coloro che hanno contribuito in vario modo alla realizzazione di queste due giornate. Ora volevo condividere un pensiero con voi che mi rovista la mente da quando sono arrivato qui. Tale pensiero è: ma oggi, anno Domini 2018 qual è il senso di una parrocchia di 4500 abitanti? 4500 abitanti dentro una comunità pastorale di quasi 13.000 dentro una città di 1.600.000, città che il card. Martini definì una moderna Ninive? Una città che sembra dimentica di Dio, plurale si dice oggi, e che nel loro girovagare frenetico i suoi abitanti non si accorgono, almeno apparentemente, nemmeno della presenza della chiesa? Io ho cercato di dare una risposta. E la risposta è la seguente: “La parrocchia SS. Nome di Maria è un metodo”. E cosa significa che la parrocchia SS. Nome è un metodo? Significa che la sua piccolezza, la sua semplicità, la sua concretezza, il suo mettere al centro la valorizzazione dei rapporti invece che le strutture è il modo, il metodo appunto che Dio oggi (come sempre in verità) vuole dalla Chiesa qui ed ora per compiere la sua opera. Parafrasando una famosa frase di Benedetto XVI e che Papa Francesco fa sua continuamente: “La Chiesa non si espande per organizzazione ma per attrazione.”, comprendiamo cosa significhi che SS. Nome sia un metodo. Sempre papa Benedetto scrive: “Non siamo un centro di produzione, non siamo un’impresa finalizzata al profitto, siamo chiesa. Siamo una comunità di persone che vive nella fede. Il nostro compito non è creare un prodotto o avere successo nelle vendite. Il nostro compito è vivere esemplarmente la fede, annunciarla; e mantenere in un profondo rapporto con Cristo e così con Dio stesso non un gruppo d’interesse, ma una comunità di uomini liberi che gratuitamente dà, e che attraversa nazioni e culture, il tempo e lo spazio”. Ognuna di queste parole andrebbe gustata, commentata, vissuta. Non possiamo farlo questa sera. Tuttavia la semplicità disarmata di come si vive lo stare insieme qui ed al Santuario, l’attaccamento al servizio ed alla preghiera di tanti giovani ed anziani, italiani, peruviani e di altre etnie, colpisce nel profondo. Ed il milanese smarrito e pensoso del nostro tempo, strattonato da una vita che tutti diciamo assurda ma che nessuno ha il coraggio di contestare nelle sue premesse, nemmeno i preti ed i teologi, trova in comunità come questa refrigerio e pace. E ciò non vale appunto solo per chi ci vede da fuori, ma anche da chi vive dentro le dinamiche della Comunità pastorale. Va bene l’istituzione; fondamentale è la cura delle strutture che chi è venuto prima di noi ci ha lasciato; va bene un’organizzazione ben oliata; è necessario possedere programmi e calendari il più precisi possibili; ma tutto questo è a servizio della novità di Cristo che appare nel corpo Mistico che è la Chiesa; lo scheletro è per tenere in piedi il corpo, non è il corpo. Noi dalla Chiesa possiamo essere attratti dalla sua vita non dalle sue istituzioni. Ed allora tutti noi dobbiamo diventare ed imparare questo metodo, dovremo esprimere il primato della vita sulle strutture. Non dovremo avere paura della commozione del pianto liberatorio che proviene dalla verità che ci scioglie dai legami del peccato, della morte e della solitudine. Il cristianesimo in effetti non nasce nei palazzi di Erode ma nel talamo nascosto di Gioachino ed Anna quando concepiscono Colei che è la radice di Iesse; pura come l’acqua perché doveva generare il torrente di ogni bellezza, di ogni verità e di ogni bontà: Gesù di Nazareth, figlio di Dio, figlio dell’uomo. Allora il primo atto di ogni pastorale è contemplare questo Mistero che accade nel nascondimento d’Israele, è pregare, è sempre ricominciare dall’inizio: da Dio e dalla conversione a Lui. Se voi pregherete per me io cercherò con la Grazia di Cristo di essere il primo, umile servitore di tutta questa bellezza che si sprigiona nelle nostre esistenze. Fate che io non mi perda, aiutatemi a tenere alti gli orizzonti con domande alte, senza arrenderci alle banalità. Ed oggi vorrei concludere con le parole del nostro grande patrono Sant’Ambrogio. Sono parole che Egli rivolge alle vergini, ma credo possano essere applicate a tutti noi, persone che cercano di seguire Gesù: “A te dico: chiusa nella tua stanza non cessare mai di tenere fisso il pensiero su Cristo, anche di notte. Anzi rimani ad ogni istante in attesa della sua visita. È questo che desidera da te, per questo ti ha scelta. Egli entrerà se troverà aperta la tua porta. Sta’ sicura, ha promesso di venire e non mancherà alla sua parola. Quando verrà colui che hai cercato, abbraccialo, familiarizza con lui e sarai illuminata. Trattienilo, prega che non se ne vada presto, scongiuralo che non si allontani. Il Verbo di Dio infatti corre, non prova stanchezza, non è preso da negligenza. L’anima tua gli vada incontro sulla sua parola, e s’intrattenga poi sull’impronta lasciata dal suo divino parlare”. Ciò sia per ciascuno. Ciò sia per tutti. Ciò sia per sempre. Amen.

don Stefano