Carissimi amici e figli e figlie di Lambrate, permettemi oggi di ringraziare. Ringraziare innanzitutto Dio che mi ha chiamato alla vita, questo dono meraviglioso su cui s’innestano tutti gli altri. Mi ha donato la fede e la chiamata al ministero sacerdotale, che mi dona il suo Spirito per tentare di essere santo come Lui è santo. Un ringraziamento largo per coloro attraverso i quali Dio mi ha posto nella vita: mio padre Giuliano che ci guarda quest’oggi dal cielo e mia mamma Diomira. In fondo la gioia di oggi è l’ennesimo sviluppo di quel “buongiorno signorina” che mio padre rivolse nel lontano 1960 a mia mamma sulla spiaggia di Viserba di Rimini luogo che tanto amo e da cui questa avventura della nostra famiglia cominciò. Oggi sento di dire un grazie alla Chiesa Cattolica, all’Arcidiocesi di Milano e soprattutto ai miei Vescovi: grazie al Card. Martini che mi volle suo prete, al card. Tettamanzi che mi volle suo parroco, al card. Scola che mi volle suo Decano ed un grazie a Mons. Delpini che mi ha voluto parroco nella mia città, la grande città di Milano. E dunque grazie a Mons. Carlo Azzimonti che oggi lo rappresenta qui tra noi. Grazie a tutti i sacerdoti e diaconi qui convenuti, don Alessandro, il diacono Alessandro e don Fabio che porta la responsabilità del dire Cristo ai giovani e che compongono la diaconia di questa comunità pastorale. Un saluto grato a don Luigi Badi mio immediato predecessore, a don Elia Mandelli che vede già Dio e che fu padre per molti di voi; ed attraverso loro due un grazie alla schiera innumerevole di parroci che si sono succeduti nei secoli sulla sede lambratese di San Martino. Grazie a don Luciano che in qualità di vice-Decano rappresenta il Decano don Dario in questo rito d’immissione. Un fervoroso saluto anche alla presidente del Municipio 3, dott.ssa Caterina Antola ed alla vice-sindaco dott.ssa Anna Scavuzzo che ebbi l’onore di conoscere quando lei rappresentò il Comune di Milano ad Arsago Seprio durante i festeggiamenti del millesimo anniversario della morte dell’Arcivescovo Arnolfo alla presenza di Mons. Delpini e del presidente della Regione Attilio Fontana nel maggio scorso. Credo che la presenza delle rappresentanti dell’istituzione civile che presiede al bene comune della città plurale sia la realizzazione del concordato quando esso recita all’art.9 dei patti lateranensi che La Repubblica italiana riconosce il valore della cultura religiosa e tiene conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano. Speriamo che sia possibile proseguire, nelle forme di autonomia stabilite dall’art. 7 della Costituzione, modalità di collaborazione fra noi anche nella logica del principio della sussidiarietà per il bene dei cittadini, in particolar modo dei più fragili. Un saluto anche a Vincenzo Casati presidente del circolo ACLI, circolo che così profondamente segna la socialità del nostro quartiere. Grazie anche al sindaco di Casorate Sempione Dimitri Cassani che ha voluto essere qui in veste ufficiale a nome della cittadina che rappresenta e al dott. Martino Rosso vice-sindaco di Arsago Seprio. Un grazie anche a tutti i sacerdoti e diaconi ed ai rappresentanti delle parrocchie in cui ho esercitato il ministero. E poi un grazie sentito a tutti quei parrocchiani di san Martino che unitamente a quelli di SS Nome di Maria permettono la vita quotidiana della CP; ed un grazie specialissimo al comitato ed a coloro che hanno permesso questa tre giorni di festeggiamenti. In questi mesi mi sono domandato cosa io prete senza virtù, senza grandi carismi, senza grandi capacità, senza sapienza, senza saper suonare la chitarra e senza saper giocare a calcio, che non guida il pulmino, un po’ pigro, cosa io potessi donare a questa comunità così pimpante. E mi è venuta in soccorso la parola di Dio che è lampada ai passi di ogni uomo. Nel libro degli At vediamo un uomo paralitico che incrocia sul suo cammino l’apostolo Pietro. A lui si rivolge mosso da qualche speranza di ricevere l’elemosina. Ma Pietro gli risponde : guarda verso di noi. (noi perché Pietro è insieme a Giovanni) E gli dice : Io non possiedo né oro né argento, ma quello che ho te lo do: Nel Nome di Gesù alzati e cammina. Carissimi: io faccio mie queste sante parole del capo degli Apostoli: io non ho né oro, né argento, né virtù né sapienza, né grandi carismi, ma quello che ho ve lo do: il nome santo di Gesù. Gesù di Nazareth, vero Dio e vero uomo, Colui che c’introduce nel Mistero del Padre, che realizza il bisogno radicale del cuore umano di essere sanato ed aperto all’Eterno. Carissimi solo la comunione con Cristo rende l’uomo veramente uomo. Dobbiamo esserne convinti, serenamente ed orgogliosamente convinti. La comunione con Cristo è ciò che permette all’uomo di ogni tempo e di ogni luogo di essere sé stesso. Ed all’uomo di questa grande metropoli affascinato dalle opportunità di futuro che essa gli offre e nel medesimo tempo impaurito dalla solitudine e dalla precarietà che essa porta con sé; all’uomo di questa grande metropoli che si è liberato da Dio e dalla Chiesa e che nel medesimo tempo è nostalgico delle stagioni della sua vita in cui il fatto cristiano forgiava le sue giornate; all’uomo di questa metropoli venuto da terre lontane o da altre regioni d’Italia e che vorrebbe vivere la fatica d’integrarsi e nel medesimo tempo di restare giustamente quello che è stato, questo prete senza virtù, né sapienza senza oro né argento a quest’uomo propone ancora una volta, insieme alla Chiesa l’unico nome datoci sotto i cieli nei quali troviamo salvezza: Gesù Cristo, vero Dio vero uomo, porta dalla quale intravvediamo il Mistero che tutto abbraccia. Cari amici io non ho paura delle mie fragilità e dei miei errori. Un grande prete americano Padre Nouwen definì in un suo memorabile libro il prete come “guaritore ferito”. Ed io mi sento così. Io so di essere portatore di una medicina che prima di tutto guarisce me. E come scrive il grande filosofo ebreo Haim Baharier anche il mio cammino come quello di tutti noi ha la caratteristica della “claudicanza”, non è cioè un cammino sciolto, è sempre difettoso. Avere coscienza di portare il grande dono della fede dentro il vaso di argilla della mia umanità permette alla fede stessa di brillare con più forza. Ed in questo senso dico a tutti: non abbiate paura dei vostri limiti!, Non abbiate paura delle vostre ferite! Perché è da esse che si scorge il Mistero di Cristo. Ed avendo coscienza delle proprie fragilità non solo non si monta in superbia ma si diventa meglio capaci di entrare in empatia con il dolore altrui. Dovremo così anche saper sorridere sopra i nostri errori. Carissimi, io non ho né virtù, né sapienza, né oro, né argento, ma quello che ho ve lo do: Gesù Cristo, Centro del cosmo e della storia, Signore della Chiesa. Carissimi, io penso che oggi voi siate anche curiosi di capire se questo parroco abbia un progetto, un programma una, come si dice oggi, una “vision” su cui far camminare la comunità pastorale nei prossimi nove anni. Debbo dirvi in tutta franchezza che, invecchiando, l’idea di programma, progetto, visione mi rende sempre più scettico. Tuttavia comprendo anche che avere qualche idea-guida potrebbe essere molto utile per orientarci nel cammino. Io credo che l’idea cardine su cui dovremmo muoverci che poi è quella presente in tutta la storia cristiana dalla Bibbia fino all’Evangelii Gaudium di Papa Francesco sia la missione. Noi ci siamo perché gli uomini di questo quartiere conoscano Cristo e conoscendolo arrivino ad amarlo ed a renderGli gloria. La domanda che ci dovrà guidare nei prossimi anni definiti “anni di cambiamento d’epoca” è proprio questa: questo momento, questa celebrazione, questo impegno, questo nostro modo di porci nel quartiere, aiuta la missione? Oppure la facciamo perché si è sempre fatta, per accontentare tizio e Caio, per non sentire le critiche di qualche potentato ecclesiastico o familiare del quartiere? La seconda idea-guida è che la Missione si articola su tre coordinate: l’educazione, la carità, la cultura. L’attenzione ai giovani, ai ragazzi ed ai bambini affinché conoscano ed amino Gesù e crescendo nella fede e nella carità possano diventare cittadini sovrani e costruttori del bene comune dev’essere una stella polare e ci deve vedere impegnati fino allo sfiancamento. Ringrazio del lavoro che si sta facendo su questo don Fabio, gli educatori, i catechisti, gli animatori, gli allenatori della G.XXIII. Dobbiamo fare sempre sempre di più, con fantasia ed attenzione magari anche per i giovani sulla soglia che non raggiungiamo con le proposte ordinarie fin qui formulate dal nostro oratorio. L’attenzione ai poveri è poi l’altro tratto distintivo dei cristiani i quali sanno riconoscere nel fratello e nella sorella fragili il volto di Cristo sofferente e crocifisso. Ringrazio quindi la Caritas, tutti gli operatori per lo sforzo immane profuso a tutti i livelli in sinergia profonda con la Caritas decanale, le Acli, i servizi sociali del Municipio 3 ed altre associazioni e persone per donare un sollievo non assistenzialista ai poveri. Un ringraziamento particolare al diacono Alessandro che si mostra referente di tante iniziative decanali o comunque inter-associative come il progetto QuBi. Da ultimo la cultura che è da un lato il linguaggio della Bellezza e della scienza che ci apre al Mistero, dall’altro è il punto di arrivo di ogni azione pastorale; fino a che infatti il cristianesimo non diviene cultura nei nostri cuori, cioè modalità con cui guardare alle cose di questo mondo, la pastorale è in difetto. Educazione-carità-cultura dunque. Bene: mi piacerebbe quindi che San Martino con l’oratorio possa diventare, all’interno della CP, il polo dell’educazione, SS. Nome di Maria il polo della carità con la presenza del guardaroba, del banco alimentare, ed in un futuro non lontano la sede dell’emporio solidale di Milano est e della scuola popolare per ragazzi delle medie espulsi dal circuito scolastico in collaborazione con i padri barnabiti. Il Santuario delle Grazie invece con la presenza dei suoi affreschi leonardeschi e con il suo significato storico dovrà caratterizzarsi come il polo della cultura e della bellezza, aiutando il viandante, il visitatore e gli abitanti dell’Ortica e di Lambrate a cercare Dio attraverso il segno dell’arte. Ecco: mi piacerebbe una CP con tre poli che caratterizzino l’azione pastorale nella sua completezza e con tanto ordine. Ma la missione e le tre coordinate indicate possono vivere solo ed esclusivamente dentro il grande grembo cristiano della comunione. La comunione è innanzitutto comunione con Dio. Per cui l’educazione alla liturgia ed alla preghiera dovranno avere un posto di primo piano. La pastorale potrà dirsi riuscita quando avremo persone, giovani soprattutto ma non solo, che andranno in Chiesa a cercare il loro Dio senza il bisogno della sollecitazione del prete, del momento organizzato, del gruppo, del precetto. Comunione significa poi comunione con la Chiesa. Una comunità cristiana non può vivere se non dentro delle relazioni vitali con la chiesa diocesana in tutte le sue articolazioni a partire dal Decanato. Una comunità non può dire di vivere genuinamente la fede se i desideri del Vescovo non divengono la sua vita ordinaria. Una comunità cristiana non può vivere se non dentro il grande orizzonte della comunione con la Chiesa universale, che si consegna nella comunione con la Chiesa italiana, con il guardare con simpatia ai carismi, ai gruppi alle associazioni ed ai movimenti presenti fra noi e della cui unità e cammino è garante il Papa di Roma che oggi si chiama Papa Francesco ed al quale la nostra CP vuole molto bene. Comunione significa anche sinodalità. Vorrei che il mio ministero assomigli a quello di un direttore d’orchestra piuttosto che a quello di un solista o, peggio ancora, a quei menestrelli che suonavano con le mani la fisarmonica, con la bocca l’armonica e con i piedi, attraverso un filo di cuoio, i piatti. L’esperienza, anche politica, dimostra che il tempo dell’”uomo solo al comando” è definitivamente conclusa. Il parroco oggi non può e quindi non deve essere identificato con la Chiesa. Il Concilio, una retta ecclesiologia ed il buon senso sono convergenti su questo. Da ultimo però credo che comunione voglia dire qualcosa di più radicale. Riprendo quello che en passant ho affermato prima, cioè che quello che stiamo vivendo è detto in ambito ecclesiastico un “cambiamento d’epoca”. Ma siamo seri. Questa formula è un eufemismo per dire come un’epoca ecclesiale, la nostra, sia al tramonto. Questa idea di Chiesa con una parrocchia ogni chilometro con parroco, preti e magari suore, dove in ogni luogo si fa tutto, dalla culla alla tomba, dal battesimo al funerale, secondo uno schema deduttivo che proviene dall’alto, da piazza Fontana 2, che vale da Porlezza a Binasco, e viene alimentato da consigli, commissioni e consulte a volte un poco verbosi, sia al capolinea. E potrebbe aspettarci, se non restiamo vigilanti, il deserto. Oppure qualcosa di nuovo. Il tramonto infatti è anche il momento della giornata fatto di colori bellissimi. Nella antiche case coloniche lombarde il tramonto era il tempo del dialogo tra chi rientrava dai campi ed intorno ad un bicchier di vino, ad una partita a dama, al ricamo del tombolo ed alla recita del rosario si comunicava agli altri come era andata la giornata. Perché allora non pensare, come ci suggerì l’Arcivescovo di Vienna – invitato dal Card. Scola – Christoph Schönborn qualche anno fa alla Chiesa, come ad una “comunità di racconti” dove i parrocchiani dell’Ortica, quelli di Lambrate, insieme ai soci delle Acli, ai ciellini del Sacro cuore, ai genitori Opus Dei del FAES, agli amici del Rinnovamento delle cellule di evangelizzazione, ed agli amici di Sant’Egidio che sono qui al servizio dei rom e sinti, si ritrovino insieme a comunicarsi reciprocamente, come fratelli e sorelle inviati nell’apostolato, le grandi opere di Dio che Egli ha compiuto nella loro giornata? Chissà: questo è sicuramente un modello di Chiesa di là da venire; ma pensare di lavorare, e spendermi, e spenderci per giungere ad esso, vi debbo dire in verità, m’intriga moltissimo. Preghiamo l’Immacolata, stella del mattino e sede della sapienza, affinché guidi i nostri passi per trovare le forme nuove di pastorale che necessitano ai nuovi tempi.
don Stefano