Venerdì Santo.
“Dio lo trattò da peccato” Carissimi, in queste parole lapidarie di Paolo ai Corinzi c’è il riassunto di tutta l’attesa profetica del servo sofferente di Isaia ed in realtà di tutto il primo Testamento. Dio lo trattò da peccato. Frase spaventosamente densa che ci costringe quest’oggi ad un’operazione sola: contemplare il Mistero del crocifisso. In effetti cos’è il peccato? E’ la cosa più terribile che possa capitare: l’uomo recide il suo legame con Dio e facendo ciò recide il legame con sé. Egli non sa più nulla di Dio e del suo amore, di sé, della vita , della morte, del bene e del male, del senso ultimo delle cose. L’uomo nel peccato è come un astronauta che esce dalla sua capsula spaziale, cioè dalla casa del Padre e recide il legame che lo tiene legato alla capsula stessa. Egli comincia a vagare nel buio, senza meta; apparentemente crede di vagare in uno spazio infinito pieno di opportunità. Ma ben presto comprende che tutto questa libertà non serve a nulla. L’uomo viene preso dalla disperazione, disperazione magari coperta da imbellettamenti anche teologici e da finti sorrisi e gioie di circostanza. Il peccato è una cosa maledettamente seria nella quale l’uomo sperimenta che non può uscirne da solo. Solo Dio potrebbe farlo. Solo Dio potrebbe guarirlo e riportarlo a sé. Per fare ciò Dio deve assumere il peccato, sperimentarlo, portarlo all’interno del Suo cuore e farlo esplodere, mettendo fine alla sua malefica forza. Cristo, che non conosce peccato, che è il Verbo sempre rivolto al grembo del Padre, non può che assumere il peccato nell’apparente silenzio di Dio. Il Getsemani, dove Cristo ha pianto sangue, il processo, il dolore, il rifiuto, la croce sono i luoghi dove Cristo ha provato ed assunto il mistero del peccato dell’uomo. Egli ha percepito, vissuto e portato cosa significhi la separazione da Dio, Lui che vi è sempre unito. Il silenzio del Padre. Gesù ha vissuto nella sua coscienza divina la mancanza del Padre, cioè il corrispettivo del peccato dell’uomo. Il cristianesimo è quella religione in cui per un attimo Dio è apparso ateo, scriverà lucidamente G.K. Chesterton. Questa separazione divina vissuta da Cristo nell’obbedienza riconcilia Dio con l’uomo. Il peccato sparisce definitivamente nel buco nero del cuore di Dio. In quel “tutto è compiuto” l’uomo torna figlio di Dio. Per questo San Giovanni nel suo Vangelo ci ricorda che è nel mistero della croce che avviene la glorificazione di Gesù, perché è nell’amore che si dona che avviene la salvezza e di cui la resurrezione sarà l’ovvia manifestazione. Carissimi, io ho l’impressione di avere usato troppe parole. Come nell’amore tra fidanzati o sposi in realtà basta uno sguardo per manifestare l’amore, così anche noi dobbiamo zittirci davanti alla croce di Cristo ed alzare lo sguardo a Colui che abbiamo trafitto. A Colui che non ha bellezza né splendore e che eppure emana quella luce e quel fascino che nostalgicamente attendevamo. La Parola zittì chiacchere mie, scrisse Clemente Rebora. Anche noi ora zittiamoci e guardiamo la Parola che splende dalla croce. Facciamoci compagni di tutti gli uomini; del Papa, dei cattolici, degli altri cristiani, degli ebrei, degli altri credenti in Dio, degli atei, dei governanti, dei malati, dei viaggiatori, dei morti che, convocati qui sotto dall’Amore, sono destinati eternamente all’Amore.
Domenica di Pasqua.
Carissimi, immaginiamo di celebrare il funerale di una persona amata: per esempio nostra mamma, nostro papà o il nostro coniuge. Lo mettiamo nella cassa, lo portiamo in chiesa e dopo la celebrazione del prete, la vettura lo porta al cimitero. Ecco immaginiamo di tornare dopo tre giorni a casa del nostro papà o della nostra mamma rimasti vedovi per consolarli e ritrovarci colui o colei che avevamo accompagnato al cimitero vivo e vegeto che mangia al tavolo con gli altri e beve caffè. Quale tonfo di gioia al cuore proveremmo. Ora pensiamo di aver conosciuto e frequentato per tre anni un uomo che ci è apparso come il senso ed il destino della nostra vita. Quest’uomo viene barbaramente ucciso e così noi ricadiamo nella percezione che ogni speranza sia illusoria. E poi scoprire dopo tre giorni dal suo martirio che egli è vivo! Ed è vivo per sempre. Bene care sorelle e cari fratelli: questo racconto, questa che sembra una fiaba, è un Fatto, nella storia è avvenuto. Gesù, uomo accreditato da Dio presso di noi che noi abbiamo crocifisso, Dio lo ha resuscitato. E’ accaduto, è un fatto. Un bambino potrebbe produrre una fiaba del papà o del fratellino che muore ma che poi risorge. E questa fiaba non sarebbe per niente falsa: esprime infatti un desiderio potentemente vero. Il racconto per es. di Biancaneve che risorge con un bacio o di Cappuccetto rosso che fa rinascere la nonna tagliando la pancia al lupo o Geppetto e Pinocchio che tornano a vivere dal ventre della balena (guarda caso strutturato sull’episodio di Giona profeta) raccontano un desiderio inconscio ma vero: che io possa cioè rivedere i miei cari, che la vita sia eterna, che la morte e quel maledetto dolore che tutti i giorni ci tarpa le ali, non siano per sempre. Ebbene i bambini questo lo desiderano e lo immaginano; Dio, potendolo, lo ha fatto. E per questo la fede può essere compresa solo da chi si fa come un fanciullo: perché il bambino sa che Dio può fare ciò che vuole: piante di piselli che arrivano al cielo, può fare il paese delle meraviglie, elefanti volanti dalle orecchie grandi come ali, bambini che nella giungla parlano con serpenti e pantere, e può, certamente, resuscitare i morti. Ma noi siamo adulti appunto: noi non possiamo credere alle favole e dobbiamo pensare alle cose vere, cioè allo spread, alle auto elettriche, ai pannelli solari, ai conti correnti, ai bonifici e come arrampicarci socialmente a spese degli altri. E così ci perdiamo il bello, il buono ed il vero della vita: Gesù Vivente che ci offre vita, che riempie di vita la nostra vita fin dal centuplo quaggiù. Il giorno di Pasqua si comprendono quanto siano vere le parole del Signore: se non diverrete come i bambini non entrerete nel Regno. Il Papa emerito, Benedetto in un articolo uscito qualche giorno fa scriveva che noi Dio lo presupponiamo, che Dio appare così lontano dalle cose ci occupano veramente da restare superfluo, lo si lascia sullo sfondo. Anche noi, proprio noi cristiani Dio lo invochiamo all’inizio delle nostre riunioni, ma le cose importanti arrivano dopo. Preghiamo ma quello che conta è quello che diremo dopo. Insomma siamo degli adulti. Mentre un solo annuncio, una sola cosa conta: Dio ha vinto la nostra morte in Gesù, finalmente ha senso vivere tutte le cose della vita: l’amore, il lavoro, le responsabilità, la sofferenza, la gioia; perché, se viviamo per il Risorto e la sua giustizia tutto il resto ci viene dato in aggiunta. Perché vedete, alla fine cosa faremo tutta l’eternità a cosa siamo destinati insieme a Dio ed agli altri beati se non eternamente giocare, vivere come bambini curiosi? Cosa sarà il paradiso se non una grande festa paesana come ce ne sono in meridione d’Italia, piene di luci, fuochi artificiali e bancarelle piene di caramelle di mille colori e forme di marzapane? Una festa dove potremo camminare lungo il mare e finalmente recitare la poesia per quella ragazza che non riuscivamo a guardare in volto senza arrossire? E’ per questo che gli adulti non ci entreranno nel Regno: a loro la gratuità della festa non interessa, non fa per loro e poi loro alle feste, come ai racconti, gli adulti non ci credono. Loro, gli adulti, sono intenti a pensare alle cose importanti.
don Stefano