Lettera di congedo di don Stefano Venturini dal ministero di parroco

Carissimi parrocchiani, quello di oggi è l’ultimo editoriale del notiziario “Noi” che firmo come vostro parroco. Come oramai sapete, la nostra Comunità dal 2 settembre subirà una “metamorfosi”, divenendo la Comunità pastorale “Madonna del Cenacolo” aggregandosi alla parrocchia di Santo Spirito, e il nuovo responsabile sarà don Stefano Saggin. Io resterò qui come vicario della Comunità pastorale. I motivi che mi hanno spinto a questa scelta sono diversi, sia di tipo personale che di tipo pastorale. Resto qui convintamente a dare una mano a don Stefano per cominciare questa nuova avventura fino a quando lui riterrà opportuno. Naturalmente in questo periodo mi sono domandato quale senso spirituale e umano potrebbe avere una scelta di questo genere per me. E mi sono dato questa duplice risposta. La prima è che questa scelta mi educa a “saper tramontare”. Tramontare non piace a nessuno. Non piace perché mette in luce la nostra vulnerabilità, la nostra mortalità. Mentre noi uomini viviamo dentro un delirio che è il delirio di onnipotenza. Il mondo ecclesiastico non è esente da ciò, anzi per certi versi alimenta questo delirio. Nel mondo dei preti infatti si deve andare “sempre avanti”, perché se non vai “avanti” è o perché sei inadatto o perché hai fatto qualcosa per cui bisogna punirti. Il mondo ecclesiastico è sempre stato un mondo prebendario. Bene fa Papa Francesco a richiamarci a questo aspetto del carrierismo come cancro spirituale. Smettere di fare il parroco, perché si riconosce di non avere in questo momento le energie psichiche e spirituali per assumersi tale compito, accettare l’aspetto umbratile della propria vita, rappresenta a mio modo di vedere una grande occasione per prendere coscienza di sé e ringraziare Dio perché mi fa capire che senza di Lui non sono niente. E smettere di fare il parroco porta alla mente quelle soavi parole del vangelo di Giovanni che ricorda ai discepoli in Samaria che molti hanno lavorato nei campi ma altri subentrano al loro posto nello stesso lavoro. Senza traumi, gelosie, invidie. L’altro insegnamento proveniente da questo cambiamento della mia vita è la sfida rappresentata dal prendersi cura della Chiesa e delle persone senza ruoli. Il ruolo è uno stimolo importante perché se una cosa non la fai per voglia la fai per dovere e senso di responsabilità. Impegnarsi per la Chiesa senza avere ruoli specifici, o per lo meno di guida, appella e costringe a farlo per puro amore, per spinta interiore, senza potere, senza che qualcuno ti possa notare, senza poter dire una parola che possa essere notata e quindi annotata a tuo vantaggio. Si ama la gente e la Chiesa per puro Vangelo, per puro mandato, per spinta interiore. Tutto ciò mette maggiormente a nudo, non puoi difenderti dietro la foglia di fico del titolo di cui ti fregi. Per questo motivo tale cambiamento mi chiederà un di più di preghiera, un di più di contemplazione su di voi, su quello che rappresentate per me. Un di più di contemplazione anche sulla mia vita che dovrà apparirmi maggiormente come luogo del puro servizio senza chiedere nulla in cambio perché mi basta che “il mio nome sia scritto in cielo”.

Cari amici, si ri-comincia. Ci si mette a servizio di questa volontà della Diocesi facendo la nostra parte per il Regno. Lo vorrei fare anche con parresia, cioè con franchezza. Per il bene umano ed emotivo dei preti in primis, la nostra chiesa locale dovrebbe domandarsi se è giusto e promettente mettere insieme tante parrocchie senza procedere con una riflessione sinodale seria e autorevole sulla semplificazione della vita pastorale. Su tali domande è un quindicennio che rifletto e ho offerto il mio contributo di pensiero e sperimentazioni per il bene della chiesa che verrà; affinché a chi sarà chiamato a svolgere il compito di parroco fra vent’anni sia permesso di sentire questo compito come realmente evangelico e umano. Speriamo. E preghiamo.

don Stefano VENTURINI