Per la Giornata Nazionale per la Vita 2023 la Conferenza Episcopale Italiana ha diffuso un messaggio che si può leggere integralmente nel sito Chiesacattolica.it.
I vescovi italiani invitano ad abbattere la “cultura della morte”, così pervasiva nel nostro tempo. Allora, viva la Vita! Bene supremo, valore assoluto; molto più terra terra, immenso contenitore di altri valori fondamentali e universali. Winston Churchill diceva che “le cose migliori sono semplici e molte possono essere espresse in una sola parola: libertà, giustizia, onore, dovere, misericordia, speranza”. Tutte cose che stanno in quel contenitore; “vita che ribolle dentro la vita”, ha detto in una recente omelia don Stefano Venturini. Vita come dono dell’Altissimo di cui non abbiamo mai piena contezza ma per il quale comunque “dobbiamo sentire gratitudine anche ai nostri genitori”, ci ricorda una Via Crucis dei padri Rosminiani. Vita come “l’avventura più appassionante che ci sia concessa, ma una volta soltanto”, si trova scritto in un libro di etimologie.
Dobbiamo capire “dove e come” va la nostra avventura, con più d’un pensiero per quella di quanti ci seguiranno negli anni a venire. Dove va la vita? Ragionando in banali termini geografici, si concentra sempre di più nelle città, deputate (in teoria) a offrire riparo, occasioni, sanità. Fino al 1960 ci viveva il 30 % della popolazione terrestre, oggi siamo al 60 %. La distribuzione di 8 miliardi di persone obbedisce a criteri quali l’ospitalità offerta dalla natura, le possibilità di sostentamento e, possibilmente, il godimento dei diritti. I livelli di concentrazione sul chilometro quadrato dipendono anche da questi fattori. Batte tutti Macao, regione autonoma della Cina sud-orientale, con oltre 21.000 abitanti per km/2, mentre l’ultima in classifica è la disabitata Groenlandia, con 0,03 abitanti. In Italia il valore medio è 207. A commento di tutto questo un dato assolutamente sorprendente: in meno di un secolo la popolazione mondiale perderà l’equivalente di tre Paesi delle dimensioni degli Stati Uniti. Insomma, la Terra comincerà a spopolarsi. Dagli attuali oltre 8 miliardi di abitanti nei prossimi due-tre decenni faticheremo ad arrivare a 8,5. “Perché l’umanità si mantenga semplicemente stabile”, ha calcolato una ricerca di Ipsos, “c’è bisogno di un tasso annuale di natalità/sostituzione naturale di 2,1”. Valore che con la crisi demografica (eccezion fatta per l’Africa) e il progressivo allungamento della vita non si prevede di mantenere.
Vera o “artificiale”?
Il “come” ha troppi parametri per misurare qualità e bontà delle nostre vite: benessere (che non è il ben-avere) e ben-fare, livello di spiritualità, salute, lavoro, libertà, scolarità e via discorrendo. Tutto ruota attorno alla sempre più rapida variabilità e alla combinazione delle condizioni oggettive: pandemie, disastri climatici, ondate migratorie, contrasti internazionali col corredo di guerre (Ucraina a parte, ne sono in corso una sessantina); solo la povertà, quella estrema, non cambia. In sottofondo, un’esistenza sempre più digitalizzata – cui aspirerebbe (è proprio incongruente?) anche chi affida i suoi giorni a un gommone – “a doppio taglio”: con una mano aiuta la medicina e la ricerca, con l’altra ci chiede di affidarci a un signore “artificiale”, anche se non di rado lo scopriamo in fallo (lui stesso, con pseudo-voce avvilita, ammette di essere al momento meno intelligente di noi “veri”).
Vite interrotte o “rimandate”
Colei che genera la vita resta al centro di tutto, o almeno di molto. La donna porta ogni possibile fardello, però colpe e meriti sono indagati con maggiore severità. “La discriminazione su base etnica, religiosa e sociale,” scrive il settimanale Internazionale, “non produce solo diseguaglianze, ma è un fattore determinante per la salute nel mondo, perché comporta, tra le altre cose, una qualità peggiore delle cure (…). Su un campione di due milioni di gravidanze in 20 paesi ad alto-medio reddito, i nati morti e i parti prematuri sono più probabili su bambini nati da donne nere, ispaniche o dell’Asia meridionale”. Un effetto del trasferimento della parte femminile della popolazione nelle metropoli è un tasso di natalità più basso e l’innalzamento dell’età media delle donne che diventano madri (oggi nel mondo sviluppato il tasso di gravidanze nelle donne oltre i 40 anni ha superato quello delle donne di 20 anni e più giovani).
L’interruzione della gravidanza scatena conflitti politico-ideologici prima ancora che dello spirito, come fosse solo questione di sociologia. Ogni anno, dice l’OMS, 121 milioni di gravidanze (quasi la metà del totale) non sono volute, e 6 ogni 10 di queste hanno come esito la loro interruzione. Il nostro Senato sta preparando un disegno di legge che dichiari che “ogni essere umano ha capacità giuridica già dal concepimento, non dalla nascita”. Vedremo che cosa ne sortirà. Intanto da noi gli aborti sono in calo da qualche anno. Ma per chi interrompe una vita c’è chi la “rimanda”, congelando le cellule riproduttive (molti soldati russi e ucraini lo stanno facendo) e ricorrendo a gravidanze surrogate, fenomeno che ha dato vita al “turismo riproduttivo”.
Un po’ diverso il problema dell’eutanasia. Ci colpisce tutti, e ci sprofonda nell’oceano dell’incertezza. Nei ragionamenti rischiamo di confinare in un angolo nientemeno che il precetto del Signore: nessun uomo ha il diritto/potere di togliere la vita a un altro uomo, di levargli il suo bene-dono supremo. Poi è vero, ci sono la pietà, e la compassione. Però “la pietà è un vicolo cieco, mentre la compassione è una finestra aperta sulla speranza”, scrive un sito di psicologia con tono familiare a noi cristiani.
Silvio Lora-Lamia